Consulta le schede dei libri

Il ritrovamento dei libri in fuga

da una conversazione con Mirco Neri, sua moglie Janette Adani e Marco Borsari, suo cugino

Nel 2002 i coniugi Mirco Neri e Janette Adani avviano i lavori per la ristrutturazione di un appartamento ereditato dalla madre del primo, Onelia Borsari, destinato a diventare abitazione di un loro figlio. La casa si trova a Modena, in via Crespellani 124.

Onelia, scomparsa nel febbraio dello stesso anno, era sorella di Ermes e Renato.
I tre, originari di Nonantola, nel corso della vita, per lavoro o per ragioni famigliari, si erano trasferiti – in diversi momenti – nel capoluogo.

Portone d’ingresso della casa di via Crespellani 124

A lavori in corso, quando si è arrivati allo sgombero della cantina, sono venute alla luce due casse di legno, con all’interno i 94 libri che qui presentiamo. Verificate rapidamente le condizioni generali dei testi (non sempre in buono stato) e le loro particolarità editoriali e linguistiche (risalenti ai primi decenni del Novecento, moltissimi in tedesco, alcuni in ebraico e in italiano), subito si è ipotizzato che provenissero dalle biblioteche dei due fratelli di Onelia, in particolare di Renato, appassionato bibliofilo e frequentatore di librai e bancarelle antiquarie.

In questo caso, però, una traccia presente sul frontespizio di diversi esemplari indica una provenienza inequivocabile: il timbro ad inchiostro “Delasem – Villa Emma” parla infatti chiaro ai due coniugi. Così, nelle settimane successive, Mirco e Janette si recano a Nonantola e, dopo un colloquio con Ombretta Piccinini, responsabile dell’Archivio storico comunale, decidono di donare i libri al Comune di Nonantola. Nel 2004, data della sua costituzione, la Fondazione Villa Emma acquisisce il prezioso contenuto di quelle due casse di legno.

Onelia, Ermes e Renato: tre fratelli e due casse di libri

Alcune tracce ci consentono di ricostruire questa storia, nonostante l’esiguità delle memorie e dei racconti familiari.

Onelia Borsari nei primi anni Quaranta

Onelia (27.05.1915/20.12.2002), la maggiore dei tre figli di Augusta Guerzoni e Gualtiero Borsari, trascorre gli anni dell’infanzia e della giovinezza a Nonantola. Le condizioni economiche familiari non le consentono di studiare, né di imparare stabilmente un mestiere. Per questo farà più che altro lavori saltuari.
Suo fratello Ermes (4.02.1921/26.09.98) ben presto si rivela molto bravo a scuola. Già negli anni che precedono la seconda guerra mondiale frequenta il Seminario non per vocazione, ma per approfondire le sue letture e i suoi interessi, che, come vedremo, spaziano su più discipline. Verrà poi arruolato e inviato in Francia come ufficiale. Dopo l’8 settembre torna in Italia e diventa partigiano.
Anche Renato (1.11.1925/16.05.2004), il fratello più piccolo, si dimostra brillante negli studi (soprattutto in matematica), molto curioso e di temperamento eclettico. Non frequenta abitualmente il Seminario (anche se si legherà a Don Arrigo Beccari) e prende lezioni da Ermes. Tenta di evitare la guerra, ma viene arruolato giovanissimo e inviato in Abruzzo al seguito di una Guarnigione altoatesina aggregata ad una formazione tedesca. Quando cede il fronte di Cassino abbandona le linee e rientra a casa. Nei mesi passati sotto le armi, cogliendo l’opportunità offerta dalla vicinanza con dei germanofoni, impara rapidamente il tedesco.

All’inizio degli anni ’40, dopo il matrimonio, Onelia si trasferisce a Modena in casa della suocera. Nel 1946 nasce Mirco, unico figlio. Nel 1952, insieme al fratello Ermes (che vivrà con loro fino a quando andrà a insegnare Lettere nei licei di Pesaro), acquista la casa di via Crespellani 124, che diviene dimora della sua famiglia. Qualche anno dopo, quando il marito – occupato nelle Acciaierie Ferrieri – si ammala di tubercolosi e viene temporaneamente ricoverato in sanatorio, Onelia sarà assunta come addetta alla cucina della ditta, dove lavorerà fino alla pensione.

Nel frattempo le cose cambiano anche per suoi fratelli.

Renato ed Ermes Borsari in gita sul lago d’Iseo nel 1956

Ermes, come abbiamo visto, inizia la carriera di insegnante e poi si trasferisce nelle Marche per qualche anno; qui sposa una sua ex allieva dalla quale avrà tre figli. Rientrerà definitivamente in Emilia quando si vedrà assegnata la cattedra presso l’Istituto magistrale di Modena, città alla quale si legherà anche per l’esercizio di altre attività: alle iniziali lauree in Lettere e in Filosofia, infatti, affianca quella in Medicina, con specializzazioni che lo porteranno ad essere tra i fondatori del Centro di Medicina Sportiva, presso il quale lavorerà assiduamente.

Intorno alla metà degli anni ’60 anche Renato, in prossimità del matrimonio con Carolina Grilli, approda nel capoluogo. Laureatosi in Matematica e Fisica, insegna presso il liceo Tassoni e l’Accademia militare. Grande appassionato e collezionista di libri, per lungo tempo ha continuato ad abitare Nonantola, in via Fossa Signora. Ha due figli: Marco, chimico, e Roberto, ingegnere. Il trasferimento a Modena lo costringe a depositare nella cantina di Onelia una consistente parte della sua biblioteca, che non trova posto nella casa di via Donizetti nella quale è andato a vivere con la famiglia.

Nella stessa cantina, alla morte della madre, Mirco ritroverà i libri dello zio, sui quali avevano studiato i ragazzi di Villa Emma.

Altre notizie intorno ai libri

I tre fratelli Borsari, secondo i nostri interlocutori, sono rimasti sempre legati, nonostante la vita li abbia portati ad avere esperienze diverse sul piano della formazione, delle frequentazioni e del lavoro.

Ci soffermiamo ora su Renato, per il ruolo da lui svolto nel salvataggio dei libri.

Renato Borsari nella campagna nonantolana. Primi anni Cinquanta

Mirco ricorda suo zio come “persona duttile, disponibile, colto ma capace di affrontare le situazioni anche sul piano pratico. Dei tre, è stato sicuramente quello che ha mantenuto contatti più stretti e duraturi con l’ambiente nonantolano”. Sua moglie Janette a tale proposito afferma: “Mentre Ermes aveva la testa a Modena ed era più concentrato su se stesso, Renato era più aperto e sensibile; insieme alla moglie, anche lei insegnante, ha lavorato con Don Arrigo alla Scuola di Rubbiara [Scuola popolare fondata da Don Beccari nel 1947 sulla base di un’idea pedagogica e sociale fortemente innovativa; orientata alla formazione professionale dei ragazzi, viene riconosciuta e dura per circa 15 anni, quando all’inizio degli anni Sessanta la Scuola media conosce una riforma epocale].
Il figlio Marco ci offre qualche notizia sulla vicenda dei libri, facendo però riferimento al fatto che in famiglia non se ne parlava molto: “Mio padre ha raccontato qualcosa a proposito dei libri depositati nella cantina di zia Onelia, quando ci siamo trasferiti da Nonantola a Modena e nella nuova casa non c’era posto. Egli amava molto i libri, ne aveva tantissimi, dai testi scientifici alla letteratura. In alcune occasioni ha raccontato che Don Beccari lo aveva preso in giro perché, dopo l’abbandono della Villa da parte dei ragazzi ebrei, era andato lì con un carretto, di quelli che si spingono, e aveva portato a casa tutti i libri che aveva trovato”.
Poi aggiunge: “Mio padre era molto legato a Don Arrigo: la domenica, dopo il trasferimento della famiglia a Modena, andavamo spesso a Nonantola a trovarlo, e lui e mio padre conversavano a lungo. Anche da giovane, durante la guerra, mio padre aveva frequentato l’ambiente della parrocchia”.

La biblioteca dei ragazzi di Villa Emma

I 94 libri ritrovati nella cantina di via Crespellani 124 a Modena provengono da una vera e più ampia biblioteca, della quale si è persa traccia dal momento in cui, a ridosso dell’8 settembre 1943, il gruppo dei rifugiati a Villa Emma è costretto ad abbandonare la residenza per procurarsi nascondigli in paese o nelle case contadine del circondario.
La biblioteca alimentava i sogni e i pensieri di adolescenti e giovani; consentiva ore e ore di lettura, contribuendo ad allontanare ricorrenti preoccupazioni; supportava le attività di studio dei ragazzi, costituendo di fatto un elemento fondamentale per la loro formazione, fatta di conoscenze culturali e di addestramento ai lavori agricoli e artigianali.

Sentiamo due studiosi e una testimonianza.

Clotilde Pontecorvo afferma:

I responsabili del gruppo sentirono che non era sufficiente provvedere alla salvezza fisica dei ragazzi, ma era indispensabile anche dare un contenuto spirituale ed educativo a tutta l’operazione. In particolare Indig temeva che le lunghe peregrinazioni, i pericoli e l’incertezza del futuro potessero mettere in crisi i ragazzi e far loro assumere gli atteggiamenti e i comportamenti tipici dei profughi senza speranze. La sua militanza nell’Hashomer Hatzair lo portò a dare alla vita del collettivo una fisionomia sionista e a porre così davanti ai ragazzi una meta, Eretz Israel, a cui tendere durante tutte le fasi del viaggio verso la salvezza. Riuscì anche a improntare la vita del gruppo agli ideali pionieristici e a organizzare atmosfera di collaborazione reciproca improntata sul principio della collettività, nella speranza che ciò venisse a riempire il vuoto doloroso lasciato dalla mancanza della famiglia nella vita di ognuno dei ragazzi e delle ragazze. Per questo motivo, il problema dell’educazione assunse un ruolo centrale. Fin da Lesno Brdo [passaggio nella fuga che precede Nonantola] fu organizzata una scuola in cui si studiavano molte e diverse materie. Ognuno degli adulti era responsabile di una delle discipline di insegnamento e le lezioni si tenevano in tre classi, quattro ore al giorno. Oltre a queste c’erano anche lezioni facoltative di musica e lingue straniere. Nonostante la carenza di libri di testo, le condizioni difficili in cui si svolgevano le lezioni e la mancanza di esperienza didattica degli insegnanti, la scuola aveva un posto di tutto rispetto e gli esami periodici che si tennero con successo dimostrarono l’importanza dell’iniziativa [L’età del transito e del conflitto. Bambini e adolescenti fra guerre e dopoguerra 1939-1945, Il Mulino, Bologna 2015, pp. 85-86].

Klaus Voigt, in diversi punti della sua ricerca, fa riferimento all’importanza che nel gruppo si assegnava allo studio e, soprattutto, ricostruisce storia e dimensioni della biblioteca che da Lesno Brdo segue i ragazzi a Villa Emma, fino a ingrandirsi notevolmente, grazie al contributo della Delasem:

Durante la permanenza al castello [di caccia a Lesno Brdo, dove il gruppo aveva trovato riparo dopo il passaggio da Zagabria in Svolenia, controllata dall’esercito italiano a seguito dell’invasione della Jugoslavia del 1941], per sopperire alla mancanza di materiali didattici si prendevano in prestito libri dalla biblioteca di Lubiana, che conteneva molte pubblicazioni in tedesco [Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga 1940-1945, La Nuova Italia, Firenze 2002, p. 106].

L’attenzione verso l’istruzione dei ragazzi resta in primo piano anche dopo l’arrivo a Nonantola. Lo testimonia il fatto che, in un resoconto sui lavori da eseguire per attrezzare la Villa datato novembre 1942, viene inclusa l’installazione di una pompa elettrica per l’acqua «perché i ragazzi, trascurando le lezioni e il lavoro culturale, passavano fino a tre ore al giorno a pompare a mano l’acqua dalla cisterna al serbatoio in soffitta» [K. Voigt, Villa Emma…, cit., pp. 146-7].

Gli educatori di Villa Emma e la Delasem erano d’accordo che per l’insegnamento scolastico e per il lavoro culturale fosse necessaria una buona biblioteca [a tale proposito, fu nominato bibliotecario Edgar Ascher (componente del gruppo), che aveva una vera passione per i libri e, pertanto, fu ritenuto da Jacchia (direttore nominato dalla Delasem) particolarmente adatto a questo compito; quando si ammalò gravemente fu sostituito da Fanny Senft (altra componente del gruppo)].
Il nucleo di base della biblioteca, sistemata in una delle stanze da soggiorno, era formato dai libri arrivati da Lesno Brdo insieme al resto del bagaglio. A differenza di Lesno Brdo, però, nei dintorni di Nonantola non vi era alcuna biblioteca circolante con libri in tedesco. Quasi tutti dovettero perciò essere forniti dalla Delasem, che incontrò non poche difficoltà, dal momento che le donazioni di libri comprendevano, in genere, soltanto titoli italiani.
Una volta Grosser riuscì a mettere insieme un pacco di libri in tedesco. Indig pretendeva troppo, quando lamentava che la Delasem, invece di mandare testi di Max Brod, Franz Werfel e Sholem Asch, come da lui richiesto, inviava soltanto libri italiani e francesi, «di cui non sappiamo che farcene».
Notevole è la varietà di libri e di pubblicazioni che nei primi tempi arrivavano quasi ogni settimana a Nonantola. Una parte, come manuali, grammatiche e dizionari, doveva servire all’insegnamento; il resto, soprattutto narrativa e saggistica, ma anche qualche testo di argomento religioso, era destinato ai circoli di lettura e al tempo libero. Una spedizione conteneva, per esempio, 70 dizionari tascabili italiano-tedesco e tedesco-italiano, 50 copie della rivista «Israel dei ragazzi», 20 hagadoth, ovverosia racconti popolari sulla pasqua ebraica, 20 blocchi per appunti, 16 volumi di letteratura di lingua tedesca, 10 copie della rivista «Il dramma», un volume con testi di canzoni ebraiche, un volume sul Dibbuk, e poi altre riviste, testi religiosi, grammatiche inglesi, calendari, almanacchi e cataloghi di case editrici.
A fine ottobre [1942] la biblioteca contava già 828 volumi, di cui circa la metà in tedesco. Di ciascun manuale di lingua italiana ed ebraica vi erano 20 esemplari. Tra i libri in tedesco sono elencati 169 opere di narrativa, 30 testi teatrali, 29 libri per bambini e 19 volumi di poesia. Gli autori più letti erano, a quanto racconta Koffler: Jakob Wassermann, Stefan Zweig, Heinrich Heine, John F. Galsworthy, Emile Zola, Pearl S. Buck, Louis Bromfield, Dostoevskij e Tolstoj. Malgrado la notevole varietà di libri a disposizione, la biblioteca non era priva di lacune. A maggio [1943] Indig notò la mancanza soprattutto di testi divulgativi di scienze naturali, medicina e argomenti tecnici, nonché di storia, storia dell’arte e geografia politica.
Oltre a libri e riviste, vennero mandati a Villa Emma anche spartiti per pianoforte e per canto, tra cui musica di Beniamino Cesi, Johann Sebastian Bach, Franz Liszt e Robert Schumann. Arrivarono persino dischi, e nella sala di musica vi era un grammofono azionato a manovella [K. Voigt, Villa Emma…, cit., pp. 160-61].

Infine la testimonianza di Leo Koffler – ragazzo di Villa Emma appena ricordato da Klaus Voigt – che quasi lascia senza fiato [“Rinasceva una piccola speranza”. L’esilio austriaco in Italia (1938-1945), a c. di C. Kostner e K. Voigt, Forum, Udine 2010, pp. 310]:

Il vanto di Villa Emma era la nostra biblioteca, con libri in oltre quattro lingue. Vi si poteva trovare letteratura di tutti i generi, dalla belletristica al dramma, dalla poesia ai trattati scientifici, dalla letteratura ebraica alla masseh [narrativa] yiddish. La biblioteca ci ha insegnato a considerare un buon libro come un tesoro prezioso, e ha dato un contributo importante all’istruzione di ognuno di noi. Le opere di autori ebrei, come Wassermann, Zweig e Heine, e di altri, come Galsworthy, Zola, P. S. Buck, Bromfield, Dostoevskij e Tolstoj, erano le più lette.
Il buon libro ha abbellito la nostra vita in quell’oasi nel mezzo dell’infuriare della guerra.

I libri ritrovati, i loro autori, i ragazzi di Villa Emma

Zwischen zwei dicken Büchern über die Vergangenheit
ein dünnes über die Gegenwart zu schreiben.
[In mezzo tra due libri spessi sul passato,
scrivetene uno sottile sul presente.]
Valeriu Marcu, 1930, presente nel catalogo dei ‘Libri in fuga’

 

I ragazzi di Villa Emma non hanno lasciato tracce tangibili del loro passaggio: la fuga da un luogo (a seguito di altre fughe, e in cerca di un altro luogo) comporta un bagaglio leggero. Tuttavia, inaspettatamente, gli unici oggetti appartenuti a loro e sorprendentemente ritrovati sono libri; libri e basta.
Libri in tedesco portati con sé attraverso l’Europa, libri raccolti lungo il tragitto, libri procurati dalla Delasem (Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei) durante la permanenza a Nonantola.

Klaus Voigt racconta di come, nel corso della fuga, nonostante la precarietà delle condizioni materiali e la complessa situazione psicologica, nonostante le necessità di primaria importanza e urgenza determinate dagli eventi, si sia subito manifestata nel gruppo l’esigenza di “un circolo di lettura […], non soltanto letterario, anche teatrale”, e di come i ragazzi chiedessero “l’ampliamento della biblioteca”.

Il ritrovamento di 94 volumi nella cantina della signora Onelia Borsari permette oggi di avere un’idea di quali fossero gli orizzonti culturali dei ragazzi e quale l’orientamento delle loro guide. Analizzando i titoli e i profili biografici degli autori, emerge un quadro della cultura mitteleuropea tra gli anni Trenta e i primi Quaranta: un tuffo nel cuore del dibattito sociale, politico e culturale di quei tempi. Romanzi e saggi in cui vengono toccati temi tra i più vari: dalle problematiche di tipo educativo e formativo, alle teorie del femminismo; dalle questioni legate al rapporto con la patria, al desiderio di mettersi in viaggio verso la Palestina; dalla relazione tra città e campagna, agli scenari riconducibili alla storia ebraica e tedesca; e poi i dizionari per imparare altre lingue, e i libri di preghiera.

Ma a colpirci sono anche le biografie degli autori, che a loro volta, spesso, si trovano di fronte alle scelte cruciali che segnano lo stesso periodo, e non di rado sono costretti a nascondersi o fuggire di fronte all’avanzare del nazismo e della guerra.
Un destino comune lega dunque i ragazzi di Villa Emma, i ‘libri in fuga’ e gli autori che troviamo in copertina, alcuni dei quali – a differenza dei loro giovani lettori – verranno travolti e sommersi dagli eventi.

 

Consulta le schede dei libri